00 18/05/2013 09:45
I PRIMI ESAMI

Nel 1953, poco tempo dopo il rientro ufficiale dei Frati Minori Conventuali nel Santuario Eucaristico, vi fu chi iniziò a manifestare l’intenzione di sottoporre le reliquie del Miracolo Eucaristico di Lanciano ad una rigorosa indagine scientifica e grazie all’autorizzazione rilasciata dall’arcivescovo della cittadina abruzzese, Mons. Pacifico Perantoni e dal Ministro Provinciale d’Abruzzo dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, nel 1970, la comunità religiosa di Lanciano si rivolse ad un esperto di fama internazionale, il Prof. Odoardo Linoli, libero docente in Anatomia e Istologia Patologica ed in Chimica e Microscopia Clinica, nonché Primario Direttore del Laboratorio di Analisi Cliniche e di Anatomia Patologica dell’Ospedale di "S. Maria sopra i Ponti" di Arezzo, al quale venne affidato l’incarico di eseguire tutte le analisi necessarie al fine di verificare che le reliquie di Lanciano fossero realmente di natura organica.
Il giorno 18 Novembre 1970, il Prof. Linoli, coadiuvato dal Prof. Ruggero Bertelli dell’Università degli Studi di Siena, prelevò, dalla periferia dell’Ostia-Carne, due campioni di ridotte dimensioni che risultarono avere un peso di 20 milligrammi; prima di prelevare dei campioni anche dal sangue miracoloso, al Prof. Linoli venne chiesto di verificare il peso dei singoli coaguli, quello totale e se quest’ultimo fosse effettivamente equivalente al peso di ognuno dei "sassolini".
Poiché i ricercatori in quell’occasione non erano provvisti di bilancino, ne venne chiesto in prestito uno alla vicina farmacia e con esso venne appurato che il peso totale del sangue di Lanciano, esclusa la polvere di sangue, era pari a 15.85 grammi, valore, quindi, differente da quello del peso di ogni singolo globulo.
Subito dopo questa doverosa verifica, il Prof. Linoli prelevò, da un coagulo di sangue, alcuni frammenti del peso complessivo di 318 milligrammi. Una volta terminata la fase del prelievo dei campioni, le reliquie furono ricollocate all’interno dell’ostensorio, il quale, a sua volta, venne posto nell’attuale tabernacolo-custodia.
Il 4 Marzo 1971 i Proff. Linoli e Bertelli resero pubblici i risultati delle analisi con una dettagliata relazione.
I due campioni prelevati dall’Ostia-Carne vennero reidratati, dopodiché, mediante l’impiego di un microtomo (5), vennero ottenute delle sottilissime sezioni che vennero colorate e sottoposte ad un’attenta osservazione microscopica per l’analisi istologica. Il tessuto risultò essere costituito da fibre muscolari striate unite per le estremità e raccolte in fasci di diverso spessore e orientati in varie direzioni.
Il fatto che tali fibre non decorressero affiancate, come si verifica, ad esempio, con le fibre muscolari scheletriche, che dalle loro estremità si dipartissero diramazioni nastriformi e che fosse presente il lobulo di tessuto adiposo (6) nel quale normalmente penetrano le fibre muscolari striate, consentì di accertare che quello che la tradizione popolare e religiosa aveva da sempre ritenuto un pezzo di "carne" era effettivamente tale e costituito da tessuto muscolare striato (7) del miocardio (8).
I campioni prelevati dal coagulo di sangue, invece, risultarono essere costituiti da un materiale filamentoso riconducibile a fibrina (9), nelle cui maglie vennero rivelati una sostanza granulare di colore gialloverdastro, derivata dall’emoglobina (10) ed alcuni corpi estranei.
Questi campioni vennero sottoposti al "Test di Teichmann" modificato da Bertrand, al "Test di Takayama" ed a quello di Stone e Burke, al fine di rilevare, rispettivamente, l’eventuale presenza di cristalli di ematina cloridrato (11), dell’emocromogeno e delle ossidasi (12) ematiche. Non venne riscontrata alcuna traccia dei suddetti cristalli e dell’emocromogeno, a differenza dei campioni di sangue umano normale essiccato ed impiegato come controllo positivo, tuttavia, tale assenza non costituisce un’anomalia in quanto il sangue può perdere la proprietà di produrre queste due sostanze, qualora venga esposto alla luce diretta del sole, a temperature elevate o ad agenti ambientali ossidanti.
La positività dei campioni al Test di Stone e Burke confermò, invece, la presenza delle caratteristiche ossidasi di natura ematica e al fine di dissipare ogni dubbio su tale natura, venne eseguita anche un’analisi cromatografica (13) in strato sottile, grazie alla quale venne identificata l’emoglobina ed appurato, quindi, che i cinque globuli erano effettivamente costituiti da sangue coagulato.
Con il test immunoistochimico (14) della Reazione di Precipitazione Zonale di Uhlenhuth, comunemente impiegato in medicina legale ed in immunologia al fine di stabilire la specie di appartenenza di un tessuto, i ricercatori dimostrarono che il frammento di miocardio ed il sangue appartenevano alla specie umana mentre con il test immunoematologico (15) della reazione detta di "assorbimento-eluizione" venne stabilito che sia il tessuto miocardico che il sangue appartenevano al gruppo sanguigno AB (16), lo stesso emogruppo al quale appartiene anche il sangue riscontrato nelle formazioni, che la tradizione popolare e religiosa ha sempre ritenuto fossero macchie e colature ematiche, visibili sulle impronte anatomiche anteriore e posteriore del corpo dell’uomo della Sindone!
L’appartenenza di ambedue le reliquie allo stesso gruppo sanguigno suggerisce che provengano dal medesimo individuo, tuttavia, non può essere esclusa la possibilità che esse abbiano origine da due differenti individui aventi lo stesso emogruppo.
Sui campioni di sangue miracoloso, inoltre, venne eseguita un’analisi elettroforetica (17) su acetato di cellulosa al fine di verificare se in essi fossero presenti le tipiche proteine sieriche. L’analisi ebbe un esito positivo ed il tracciato elettroforetico risultante fu comparabile con quello ottenuto da sangue umano normale. I ricercatori, infine, polverizzarono e reidratarono 100 milligrammi di sangue miracoloso e stabilirono che gli elementi in esso presenti - cloruri, fosforo, magnesio, potassio e sodio - erano in quantità ridotta rispetto alla norma mentre il calcio era presente in quantità maggiore.
Tale riduzione può essere ricondotta sia a processi di invecchiamento e di depauperamento occorsi nel corso dei secoli che a "scambi" avvenuti con le pareti interne del contenitore di vetro nel quale le reliquie furono conservate. L’arricchimento in calcio, invece, è probabilmente da imputare ad un apporto esogeno dovuto alla caduta nel calice della polvere muraria, ricca di sali di calcio, staccatasi dalle pareti dell’edificio.
Le analisi istologica (18) e chimico-fisica dei campioni prelevati dalle reliquie non hanno rilevato la presenza di sali e composti conservanti comunemente impiegati nell’antichità per il processo di mummificazione (19), comunque, l’identificazione di proteine integre nella carne e nel sangue miracolosi di Lanciano, dopo dodici secoli, non costituisce un evento eccezionale, difatti, proteine strutturalmente integre sono state rilevate anche in mummie egiziane risalenti a 4000 - 5000 anni fa.
È doveroso fare presente, tuttavia, che vi sono delle notevoli differenze tra lo stato di conservazione di un corpo o di un pezzo anatomico che siano stati sottoposti a trattamenti specifici per la mummificazione e le reliquie di Lanciano; queste ultime, difatti, quantunque siano state esposte per 1200 anni a forti escursioni termiche, all’umidità e soprattutto, agli attacchi di parassiti e di microrganismi saprofiti, non sono inesplicabilmente andate incontro a decomposizione ed è incomprensibile anche come le proteine di cui sono costituite tali reliquie si siano mantenute integre.
Al termine delle analisi di laboratorio, il Prof. Linoli escluse la possibilità che le reliquie di Lanciano fossero un falso medievale in quanto ciò avrebbe presupposto che qualcuno fosse in possesso di nozioni di anatomia umana molto più avanzate di quelle diffuse tra i medici del tempo, nozioni che avrebbero consentito di rimuovere il cuore di un cadavere e di dissezionarlo al fine di ottenere un frammento di tessuto miocardico omogeneo e continuo. Inoltre, qualora il sangue fosse stato prelevato da un cadavere, nel volgere di un brevissimo arco di tempo, esso avrebbe subito una grave alterazione per deliquescenza (20) o putrefazione.

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