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In quanto alla consapevolezza, l’atto volontario può essere attuale o virtuale

Attualmente volontario è l’atto deciso e compiuto con consapevolezza riflessa, con deliberazione esplicita qui e adesso. Virtualmente volontario invece è quello compiuto con consapevolezza irriflessa della deliberazione presa, la consapevolezza c’è ma non emerge alla coscienza qui e adesso, perdura una deliberazione precedente o abituale che la persona non ha mai ritrattato.

Un esempio chiarirà meglio.

E’ attualmente volontario quell’atto esplicito alla coscienza di voler aiutare ed aiutare di fatto un bisognoso, la consapevolezza di tale atto viene supportata dall’intelletto e dalla volontà.

Virtualmente volontario è l’atto spontaneo di soccorrere un bisognoso, attuato con consapevolezza irriflessa ma reale (possiamo dire in modo istintivo), a motivo della virtù (l’amore, la carità, la misericordia) che sussiste nella persona la quale viene spinta ad agire, l’atto è consapevole ma non dettato dalla volontà, in quanto spontaneo.

La bestemmia volontaria, è quella consapevole, in quanto sussiste la volontà preceduta dall'intelletto di pronunciarla “qui e ora”, tale bestemmia è un peccato.

La bestemmia virtuale è quella pronunciata senza consapevolezza, sia nella volontà che nell'intelletto, essa è espressione di un vizio acquisito, tale bestemmia rientra nella maleducazione.


Quanto all'effetto l’atto volontario può essere diretto o indiretto.

Direttamente volontario è l’atto il cui effetto costituisce lo scopo dell’azione, ciò che la gente intende compiere.
Indirettamente volontario invece è l’atto il cui effetto non è quello inteso e perseguito come fine dell’azione, è un secondo effetto o conseguenza dello scopo/effetto direttamente voluto.
In realtà di volontario indiretto in morale si parla relativamente all'atto a doppio effetto, uno buono e l’altro cattivo, in ordine alla permissibilità etica di quest’ultimo.

Ora nel caso in cui l’effetto cattivo non entra nel costitutivo morale dell’atto, così da modificarne l’essenza, rimane eticamente irrilevante (l’atto cattivo non previsto rientra negli accidenti) , come tale il male procurato da tale atto non è morale e perciò non è un peccato, ma fisico e perciò permissibile.

Il che è precisato dal principio del doppio effetto, nel caso in cui un atto buono comporta anche un effetto cattivo, previsto sì ma non voluto né come fine né come mezzo per conseguire il fine, semplicemente tollerato come conseguenza seconda e inevitabile, tale atto si può compiere.

Non essendo l’effetto cattivo né il fine oggettivo dell’atto né il fine soggettivo dell’agente non entra nel costitutivo etico dell’atto, come tale non costituisce un male morale ma fisico, l’atto specificato dal suo fine diretto (oggetto proprio), che è quello inteso e voluto è moralmente buono e volontario. L’effetto cattivo è indiretto, come tale ininfluente sulla moralità dell’atto.

Così, per esempio, distinguiamo un’eutanasia diretta da una indiretta, è direttamente eutanasico l’atto con cui, somministrando dei farmaci, si causa la morte di un malato, la morte dunque non è un accidente, ma è il fine dell’atto voluto.

E’ indirettamente eutanasico l’atto di somministrare degli analgesici lenitivi del dolore in un malato terminale, sebbene comporti come effetto secondario l’anticipazione della morte.

Direttamente l’atto è terapeutico, mira all'umanizzazione del morire(per alleviarne la sofferenza), solo indirettamente comporta l’abbreviazione della vita, in questo caso l'anticipazione della morte è un accidente e non il fine dell’atto voluto.

Altro esempio è l’aborto indiretto, la perdita di una vita embrionale o fetale, connessa ad un inevitabile intervento curativo della gestante, qui l’aborto non è il fine dell’atto né il mezzo per conseguire il fine, è una conseguenza, prevista ma non voluta, di un atto in sé buono e inevitabile.

L’atto, specificato dal fine, è direttamente terapeutico, solo indirettamente è abortivo, non può dirsi indiretto invece l’aborto procurato per curare o prevenire un male della gestante.

Quanto all'imputabilità l’atto volontario può essere “in sé” o “in causa”.

Volontario in sé è l’atto compiuto con consapevolezza e consenso in atto, l’azione è responsabile e imputabile nel suo svolgersi.

Volontario in causa invece è l’atto carente o privo di deliberazione cioè di consapevolezza, ma delle cui conseguenze l’agente è responsabile per così dire a monte.

Un atto moralmente cattivo può essere imputabile in causa in ragione di ignoranza e disattenzione vincibili, di cattive disposizioni e abitudini, di negligenze, abusi o pigrizie.

Così, per esempio, è volontario in sé un incidente stradale per deliberato eccesso di velocità, è volontario in causa l’incidente stradale in stato di ebbrezza o per ignoranza del codice della strada.

Sia l’atto “in sé” che l’atto “in causa” sono cause d’effetti i quali ne è responsabile sempre l’agente.

segue

Tommaso de Torquemada



SALUS ANIMARUM SUPREMA LEX