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Da quanto sopra si arriva alla conclusione decretata dal concilio già 12 secoli orsono e cioè che:
Gli atti di culto non sono rivolti alle immagini considerate in se stesse, ma in quanto servono a raffigurare il Dio incarnato. Ora, il moto che si volge all'immagine in quanto immagine, non si ferma su di essa, ma tende alla realtà che essa rappresenta [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, 81, 3, ad 3].

Il Catechismo della Chiesa Cattolica inoltre riporta con puntuale precisione l'insegnamento riguardante l'adorazione, dovuta solo a Dio, e la venerazione che può essere rivolta a persone che sono state fedeli a Dio, anche servendosi di immagini.

dal CCC
2132 Il culto cristiano delle immagini non è contrario al primo comandamento che proscrive gli idoli. In effetti, “l'onore reso ad un'immagine appartiene a chi vi è rappresentato”, [San Basilio di Cesarea, Liber de Spiritu Sancto, 18, 45: PG 32, 149C] e “chi venera l'immagine, venera la realtà di chi in essa è riprodotto” [Concilio di Nicea II: Denz. -Schönm., 601; cf Concilio di Trento: ibid. , 1821-1825; Conc. Ecum. Vat. II: Sacrosanctum concilium 126; Id., Lumen gentium, 67]. L'onore tributato alle sacre immagini è una “venerazione rispettosa”, non un'adorazione che conviene solo a Dio.

Questo basta a dirimere la questione e quanti invece preferiscono la propria interpretazione sono liberi di non far uso di immagini ma non possono farsi paladini di una dottrina che male interpreta le Scritture ed è in netto contrasto con un chiarimento espresso in un Concilio.