Articolo sul libro in questione, preso dal "FATTO" di mercoledi scorso
di Paolo Rodari*
Paolo Flores d’Arcais parte dal Vangelo e – carta alla mano – nega che la pretesa che sottintende tutta la storia del cristianesimo, e cioè che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, sia legittima. Gesù, dice, non è Dio. Troppe le incongruenze dei testi, troppe le frottole che i seguaci di Gesù hanno raccontato su Joshua bar Jospeh “che guarisce e predica ai tempi di Tiberio”, “un ebreo osservante, rimasto tale fino alla morte, che mai avrebbe immaginato di dar vita a una nuova religione e meno che mai fondareuna ‘chiesa ’”. TROPPE le interpretazioni falsate che della figura di Gesù hanno dato coloro che sono venuti dopo di lui, i cristiani, la chiesa. E sbaglia Joseph Ratzinger – quando era cardinale Flores pareva stimarlo, ora che è Papa sembra che ai suoi occhi il “vecchio ” teologo abbia perso attrattiva: perché? – che nei suoi due volumi dedicati a Gesù di Nazareth non parla di Gesù, dice Flores, ma del “Cr isto dogmatizzato dai Concili di Nicea e Calcedonia”. Il vero volto di Gesù lo si trova piuttosto nell’Islam. Qui c’è il “Gesù di Galileo crocifisso sotto Tiberio”. Certo, Flores ha ragione quando dice che il Vangelo è pieno d’incongruenze. E ha ragione quantomostra che il testo in più punti si contraddice. I Vangeli si contraddicono. I quattro Vangeli, se letti in parallelo, in più punti dicono cose diverse. E anche il legame tra Vecchio e Nuovo testamento a volte scricchiola. Ma è basandosi su queste contraddizioni che si può desumere che il Cristo dei Vangeli non sia Dio e che il Cristo professato e seguito dalla chiesa non sia Dio? Per rispondere occorrerebbe farsi un’ulteriore domanda: cosa sono i Vangeli? Biografie? Testi religiosi? Libri di insegnamento? Saggi di teologia? Niente di tutto ciò. I Vangeli sono appunti, racconti di testimoni oculari, pagine sparse di memorie. Se fossero scritti oggi i loro autori probabilmente girerebbero per le strade della Galilea con una “Moleskine” e la sera, di ritorno a casa, scriverebbero riordinando scarabocchi sparsi. Chi ha scritto i Vangeli insomma – ed è utile ricordare che la maggior parte degli studiosi concorda sul fatto che i Vangeli sono stati scritti nei primi anni di vita della chiesa e sul fatto che la prima stesura del Vangelo di Marco e della fonte comune di Luca e di Matteo non è posteriore all’anno 40 – non ha voluto dimostrare nulla. Non ha voluto dire: “Adesso vi spiego perché Cristo è Dio”. NON HA voluto offrire un testo cronologicamente perfetto, con tutti i particolari che collimano. Chi ha scritto i Vangeli ha piuttosto voluto raccontare le proprie impressioni dal vivo, particolari della vita di Gesù che più di altri l’hanno colpito, dando spesso per sottinteso ciò che per loro era del tutto evidente e cioè che Gesù era Dio. Flores critica Ratzinger che nei suoi due ultimi volumi non solo fa un’opera “omiletica”, ma pretende che quest’opera sia “storica” dichiarando di voler giungere alla certezza della figura “veramente storica di Gesù”. Per Flores, Ratzinger non riesce nel suo intento perché – la critica di Flores punta sempre qui – i testi negano che la figura “stor ica”descritta dal Papa sia quella realmente esistita. Ritorna la domanda di prima: cosa sono i Vangeli? Racconti, appunti nei quali gli autori, pur dentro alcune disarmonie, raccontano ciò che vedono. Per la chiesa cattolica da questi racconti emerge il vero Gesù. Per secoli i cristiani hanno visto in questo Gesù il vero Gesù, il figlio di Dio. Hanno sbagliato? Sbaglia la chiesa? Un simile approccio è troppo semplice e facile? Alcuni sostengono di sì. Ma anche un approccio meramente storico che annulla a priori la possibilità, ad esempio, che Cristo sia risorto perché una cosa del genere è impossibile all’uomo, non è esente da superficialità. È la cultura del sospetto, il sospetto che gli evangelisti hanno camuffato la vera identità di Cristo, che fa dire che solo una lettura storica, uno scandagliamento infinitesimale del testo alla ricerca di ciò che può essere e di ciò che non può essere, è lecita. E chi paga il prezzo più alto è il divino, e cioè il fatto che sia stato Dio ad aver ispirato il testo. I PRIMI che iniziarono a non fidarsi dell’attendibilità dei quattro evangelisti furono i teologi protestanti di area tedesca. Scrissero vite di Gesù non basandosi sui Vangeli ma giudicandoli preventivamente. Altri si accodarono a loro studi, la maggior parte muovendo critiche dal di fuori della vita della chiesa, non da dentro. Non so se per Flores si possa dire la medesima cosa. Ma è un fatto che per comprendere l’assoluta divinità, e insieme umanità che i Vangeli comunicano di Cristo, occorre di Cristo fare esperienza. Altrimenti è facile accodarsi a Rudolf Karl Bultmann per il quale tutto il materiale evangelico altro non è che il prodotto del genio creativo della comunità primitiva.
*Giornalista, autore di “Attacco aR a t z i n ge r ”, Edizioni Piemme, 2010