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LA LEGGE MORALE PER I NON CREDENTI

Ultimo Aggiornamento: 15/07/2022 18:47
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14/09/2018 18:48
 
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Un’etica atea?
Le inevitabili contraddizioni del filosofo Sam Harris

Un’etica atea che fondamenta può avere? Il libro Il paesaggio morale di Sam Harris (uno degli ultimi nuovi atei), seppur cerchi di dimostrare il contrario, mostra l’impossibilità per chi rifiuta un Assoluto di allontanarsi dal mero relativismo e dal soggettivismo etico.

 

The Moral Landscape è uno dei libri più famosi del filosofo Sam Harris, nonché uno dei tentativi più audaci di definire i confini di una morale laica (o atea). Fallimentare, tuttavia, come vedremo. Lo dimostrano anche le numerose critiche ricevute anche in ambito ateista, come quelle del filosofo Massimo Pigliucci.

Certamente Harris ha cambiato le carte in tavola in quanto, fin dal principio del suo volume (tradotto in italiano con il titolo Il paesaggio morale. Come la scienza determina i valori umani), ha voluto combattere l’idea che un ateo possa soltanto essere un puro relativista e debba abbracciare l’amoralità, in quanto privo di un fondamento razionale su cui definire il Bene e il Male. Nient’affatto, il filosofo statunitense rivendica l’oggettività dei valori e dei doveri morali, ovvero validi e vincolanti indipendentemente dall’opinione umana. L’Olocausto è stato un Male oggettivo, anche se alcuni (i nazisti) lo ritennero un bene e sarebbe rimasto un Male anche se i tedeschi avessero vinto e convinto il mondo intero della bontà delle loro azioni.

E’ quindi inevitabile lo stupore. Cosa rende certe azioni oggettivamente buone o cattive, giuste o sbagliate? Un credente ritiene che l’uomo abbia un insito codice morale, dono del Creatore, a cui fare affidamento, tanto che anche chi sbaglia -se la ragione non è completamente obnubilata- è consapevole di sbagliare. Ma come conciliare la non esistenza di Dio con l’esistenza oggettiva del Bene ed il Male, cioè preesistenti l’uomo stesso? Questo non significa affatto che l’ateo è un essere immorale, ma solamente che le tante azioni buone che compie non sembrano avere un coerente fondamento razionale nel pensiero ateo.

Harris ha quindi imboccato una strada davvero ardua. Dal punto di vista ateo, gli esseri umani sono solo prodotti accidentali dell’evoluzione biologica ed il loro benessere non dovrebbe valere di più di quello degli insetti, dei ratti o dei serpenti, a meno di abbracciare un ingiustificato antropocentrismo. I valori morali altro non sono che sottoprodotti comportamentali della selezione naturale e del condizionamento sociale. L’homo-sapiens, pressato socio-biologicamente- avrebbe casualmente evoluto una sorta di “moralità” che lo aiuta nella perpetuazione della specie, ma nulla rende tale carattere genetico una morale oggettivamente vera. Infatti, il divulgatore scientifico (ateo) Michael Ruse afferma: «La moralità è un adattamento biologico non meno di mani, piedi e denti. L’etica è illusoria: mi rendo conto che quando qualcuno dice: “Ama il prossimo tuo come te stesso”, pensa di riferirsi ad un codice al di sopra di sé, tuttavia tale riferimento è veramente senza fondamento, la moralità è solo un aiuto alla sopravvivenza e alla riproduzione e ogni significato più profondo è illusorio» (M. Ruse, in The Darwinian Paradigm, Routledge 1989, pp. 262, 268, 289).

Sempre in un paradigma ateo, pensare che gli esseri umani siano speciali e confidare nella verità del nostro codice morale è un pregiudizio ingiustificato verso la propria specie. Specismo, direbbero i vegani. Senza Dio, non c’è una base al di fuori dell’uomo per definire oggettivamente vera la moralità umana, dato che l’uomo altro non è che una accidentale creatura scimmiesca casualmente apparsa su un minuscolo frammento di polvere del cosmo. Dal suo punto di vista, Richard Dawkins dice il vero: «Non c’è in fondo alcun progetto, nessuno scopo, niente di male, niente di buono, nulla, solo indifferenza insensata. Siamo macchine per propagare il DNA, è l’unica ragione d’essere di ogni oggetto vivente» (R. Dawkins, Unweaving the Rainbow, Allen Lane 1998).

Come pensa, quindi, di uscirne Sam Harris? Il suo trucco è quello di ridefinire il significato di “bene” e “male” in termini non morali, equiparando il Bene a tutto ciò che conduce verso il «benessere delle creature coscienti». «Il bene e il male devono consistere solo in questo: miseria contro benessere […]. Parlando di “verità morale”, sto dicendo che ci devono essere fatti riguardanti il ​​benessere umano e animale» (p. 198). È evidente che si tratta di un mero gioco di parole: Harris ha sostituito i valori morali con ciò che è favorevole alla prosperità della vita senziente su questo pianeta.

Ma qui nascono i problemi: secondo il ragionamento di Harris (che non è un neuroscienziato, avendo solo un dottorato in neuroscienze!), l’uccisione degli esseri umani è ovviamente contro al benessere umano e quindi immorale. Tuttavia, in una società di cannibali, il cannibalismo equivarrebbe alla prosperità umana e, dunque, l’omicidio diverrebbe il Bene. L’approccio naturalistico di Harris, quindi, ritorna ad essere figlio del relativismo che intende combattere. Il benessere umano non sempre coincide con la bontà morale e se lo si vuol far coincidere a tutti i costi allora crolla l’impianto anti-relativistico di Harris. Il filosofo ateo non fornisce infatti alcuna giustificazione o spiegazione del perché l’ateismo dovrebbe appoggiarsi su valori morali oggettivi, se non escogitando un trucco semantico per fornire una ridefinizione arbitraria e idiosincratica delle parole “buono” e “cattivo” in termini non morali.

Il ricorso di Harris al naturalismo scientifico sopravvaluta le potenzialità della scienza. Essa, come ha ben spiegato il filosofo William Lane Craig, ci dice solo ciò che è, non ciò che dovrebbe essere. Sopratutto non ci dice affatto che abbiamo l’obbligo morale di intraprendere azioni che favoriscano il benessere umano. Dal punto di vista naturalistico gli uomini sono animali e gli animali non hanno obblighi morali gli uni verso gli altri: quando lo squalo bianco copula a forza con una femmina, non la sta violentando poiché non c’è una dimensione morale in tali azioni. Né divieti, né obblighi.

Da dove arrivano gli obblighi morali, senza Dio? Chi li impone all’uomo? Tuttalpiù sono un’impressione soggettiva ed arbitraria: i nazisti ritengono un bene l’Olocausto, gli ebrei sono del parere opposto. Niente di più. Se non esiste un Legislatore morale, allora non esiste una legge morale oggettiva; e se non esiste una legge morale oggettiva, allora non abbiamo obblighi morali oggettivi.

«La visione naturalistica di Sam Harris», ha concluso Lain Craig, «non fornisce una solida base per i valori e i doveri morali oggettivi. Se Dio non esiste, siamo intrappolati in un mondo moralmente privo di valore in cui nulla è proibito. L’ateismo di Harris si trova quindi malato di soggettivismo etico. Ciò che il teista offre a Sam Harris non è una nuova serie di valori morali -in linea di massima condividiamo un’ampia gamma di posizioni di etica applicata- piuttosto ciò che possiamo offrire è una solida base per i valori e i doveri morali che entrambi riteniamo cari».

Fonte: UCCRonline.it


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15/07/2022 18:47
 
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Un non credente dice:
un ateo, o non credente che sia, non ha bisogno di credere ad una punizione o premio in una vita futura in cui non crede per comportarsi in maniera adeguata e moralmente integra.
Ci sono atei che rispettano la propria moglie, esattamente come ci sono tanti credenti che non lo fanno

risposta del credente

il non credente, quando trova uno svantaggio dal praticare i Comandamenti, potrebbe chiedersi perchè dovrebbe far lo sforzo di osservare ad esempio il non commettere adulterio se una donna gli propone una relazione irregolare. Facilmente potrebbe tradire la moglie, se non vi fosse un motivo molto valido per non farlo."

non credente
partiamo dall'assunto che al non credente non importa quali siano, e cosa contemplino i comandamenti.
Agisce per una propria morale oltre che per osservare le leggi laiche del paese di appartenenza. Ma la più grande assurdità e che il non credente può cadere più facilmente in tentazione.
Indipendentemente dal comportamento sbaglaito se qualcosa va contro la mia morale, prescindendo dalla convenienza cerco di non farla, tuttavia, nel caso da te citato, se l'individuo è un traditore seriale lo fà anche se credente, e non aspetta che sia la donna a provocarlo, se la vado a cercare.
La fede nei comandamenti non c'entra nulla.
Non serve credere in dio per avere rispetto della donna che si ama.


credente
invece io sono convinto che chi non crede in Dio, non avendo nessun motivo per poter agire in maniera conforme alla Sua volontà, qualora gli si offrisse qualcosa di molto appetibile, potrebbe (notare il condizionale), ritenere lecito ciò che non lo è. --Per il credente, se è coerente, tutti i Comandamenti, (anche i primi tre non considerati generalmente dai non credenti) sono un punto di riferimento nel suo comportamento.

non credente
parere mio, credere che la morale di un non credente possa essere meno forte per assenza di fede, non ha valenza.
Anzi potremmo dire che è persino più forte, proprio perché il non credente non aspetta premi in una presunta, e per lui inesistente, vita futura.
Son punti di vista tutto qui...

credente
certo qualsiasi convinzione può portare ad assumere posizioni coerenti e forti indipendentemente dal credo religioso. Ma facciamo un esempio pratico. I non credenti, generalmente, (non tutti ovviamente) ritengono, che sia del tutto normale e morale praticare l'aborto. Non avendo un riferimento alla legge divina, pensano che sia lecito farlo e che ne abbiano ogni diritto. In questo caso però per il credente coerente sarebbe un grave atto moralmente peccaminoso, con conseguenze non solo sul piano puramente psicologico, ma di cui si dovrà anche rendere conto a Dio. Siamo quindi su posizioni molto differenti che producono comportamenti ed effetti molto diversi.
Comprendi che c'è differenza tra il concetto di moralità del credente e quello del non credente.



Cosi, si possono aggiungere al'esempio riportato sopra tanti altri aspetti implicati dalla morale

Secondo la moralità del credente vi sono tanti altri casi che vanno tenuti distinti dalla moralità del non credente, per il quale potrebbero essere del tutto leciti i seguenti casi

Ma viene qui valutata la liceità morale per il credente cattolico:

1) della diagnosi prenatale,

2) degli interventi terapeutici sull’embrione,

3) della ricerca e della sperimentazione sugli embrioni e sui feti,

4) dell’uso a scopo di ricerca degli embrioni ottenuti mediante la fecondazione in vitro,

5) degli altri procedimenti di manipolazione degli embrioni connessi con
le “tecniche di riproduzione umana”.


La diagnosi prenatale è moralmente lecita nella misura in cui è
orientata alla salvaguardia o alla guarigione individuale mentre è
gravemente lesiva della legge morale quando viene praticata allo scopo
di provocare l’aborto e l’eliminazione dei feti malformati o malati30.
.
Gli embrioni non devono essere oggetto di ricerche mediche e di
sperimentazioni salvo i casi in cui: 1) non si arrechi danno né alla vita
né all’integrità del nascituro e della madre oppure 2) si tratti di
sperimentazione terapeutica impiegata a beneficio dell’embrione stesso
nel tentativo estremo di salvarne la vita31.
La dignità di essere umano propria dell’embrione sin dal primo
momento del suo concepimento porta a condannare la soppressione
volontaria degli embrioni umani ottenuti in vitro e ogni forma di
manipolazione biologica o genetica degli stessi compreso il loro
congelamento32.
Le conclusioni predette vengono sviluppate nella prima parte
dell’Istruzione Donum Vitae mentre nella seconda parte vengono
affrontati i problemi etici posti dalla fecondazione artificiale eterologa e
quelli collegati con la fecondazione artificiale omologa.
L’Istruzione ricorda che le diverse procedure tecniche volte a
ottenere un concepimento umano in maniera diversa dall’unione
sessuale dell’uomo e della donna richiedono innumerevoli fecondazioni
e distruzioni di embrioni umani33 fatto questo che comporterebbe una
loro valutazione morale estremamente negativa motivata dal fatto che
le stesse non offrono il dovuto rispetto all’embrione umano
ciononostante la riflessione etica su queste tecniche viene condotta
astraendo, per quanto possibile, da questa grave constatazione34.
Il rispetto dell’unita del matrimonio e della fedeltà coniugale
richiede che il figlio venga concepito nel matrimonio poiché il vincolo
matrimoniale riconosce agli sposi il diritto di diventare genitori soltanto
l’uno attraverso l’altro35.
La Fivet e l’inseminazione artificiale eterologa prevedono che il
concepimento avvenga mediante l’incontro di gameti di almeno un
donatore diverso dagli sposi e conseguentemente non sono conformi
alla dignità degli sposi ed alla verità del matrimonio36.
La fecondazione artificiale eterologa è dunque moralmente
inaccettabile37 come la maternità sostitutiva38.
L’atto coniugale, con il quale gli sposi attuano il dono di sé, è un
atto simultaneamente corporale e spirituale39.
I significati unitivo e procreativo dell’atto coniugale non possono
essere separati40.
La procreazione conforme alla dignità della persona esige il
rispetto del legame esistente fra i significati dell’atto coniugale mentre il
concepimento in vitro è il risultato dell’azione tecnica di terze persone
la cui competenza, che instaura un dominio della tecnica sull’origine e
sul destino della persona umana, determina il successo
dell’intervento41.
Il ricorso al concepimento in vitro da parte degli sposi è pertanto
moralmente inaccettabile42.
L’inseminazione artificiale omologa, fra gli sposi, in quanto
sostitutiva dell’atto coniugale unitivo, è, quindi, moralmente illecita43.

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note
28 Istruzione Donum Vitae, cit., Parte prima, n. 1.
29 Istruzione Donum Vitae, cit., Parte prima, n. 1.
30 Istruzione Donum Vitae, cit., Parte prima, nn. 2, 3.
31 Istruzione Donum Vitae, cit., Parte prima, n. 4.
32 Istruzione Donum Vitae, cit., Parte prima, n. 5.
33 La pratica della fecondazione in vitro presuppone che più ovuli vengano
prelevati, fecondati e coltivati in vitro per alcuni giorni. Non tutti gli embrioni
vengono trasferiti nelle vie genitali della donna; alcuni di essi, infatti, chiamati
“soprannumerari” vengono distrutti o congelati. Gli stessi embrioni impiantati
vengono in certi casi sacrificati per ragioni eugenetiche, economiche o psicologiche.
34 Istruzione Donum Vitae, cit., Parte seconda.
35 Istruzione Donum Vitae, cit., Parte seconda, A, n. 1.
36 Istruzione Donum Vitae, cit., Parte seconda, A, n. 2.
37 Istruzione Donum Vitae, cit., Parte seconda, A, n. 2.
38 Istruzione Donum Vitae, cit., Parte seconda, A, n. 3. La denominazione “maternità
sostitutiva” fa riferimento alle situazioni in cui 1) una donna porta in gestazione un
embrione impiantato nel suo utero e che le è geneticamente estraneo perché ottenuto
mediante l’unione di gameti di “donatori”, 2) una donna porta in gestazione un
embrione alla cui procreazione ha concorso con il dono del proprio ovulo, fecondato
mediante inseminazione con lo sperma di un uomo diverso dal marito e, in entrambe
le ipotesi, con l’impegno di consegnare il figlio una volta nato a chi ha commissionato
o pattuito la gestazione.
39 Istruzione Donum Vitae, cit., Parte seconda, B, n. 4.
40 Istruzione Donum Vitae, cit., Parte seconda, B, n. 4.
41 Istruzione Donum Vitae, cit., Parte seconda, B, n. 4/c
----------------------
fonte: https://core.ac.uk/download/pdf/296277303.pdf
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