Faccio seguito alla questione da me suaccennata e cioè che i tdg non attribuiscono al termine "
Signore" con cui è designato Gesù nel Nuovo Testamento numerose volte, con la stessa valenza che ha il termine DIO; mentre invece dovrebbero riflettere molto su questo termine che i traduttori della settanta greca usavano per tradurre il Tetragramma che designava Dio Padre, attribuendoGli il termine "KIRIOS" che è stato parimenti usato per Gesù in modo enfatico, proprio per indicare che la sua SIGNORIA, è esclusiva sull'universo intero e non avrà mai fine. La sua gloria preesisteva da sempre ed è stata riaffermata e riconfermata per sua conquista attraverso l'abbassamento estremo sulla croce che gli ha meritato,
la Signoria che aveva già per diritto di natura,
Giov 17,5 E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse.Vorrei a tal proposito proporre il commento di Lino Pedron al testo della FIlippesi 2,9-11
L’inno a Cristo
(2,6-11)
6il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio;
7ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, 8umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. 9Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; 10perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; 11e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.
L’inno a Cristo è per molti versi problematico. Esso rappresenta un tutto chiuso in se stesso in forza del suo tema; tanto che lo si può perfino togliere dal contesto. Anche se Paolo assume nei suoi scritti formule di confessione di fede, o altre proposizioni già preesistenti, non si trova da nessuna parte un complesso unitario così esteso. Paolo inserisce questo inno a Cristo senza comporlo ad hoc. Ma non possiamo stabilire se lo abbia scritto lui stesso in un tempo precedente o lo abbia preso da qualche testo tradizionale della comunità. L’inno è stato inserito organicamente nel contesto ed è soprattutto il v.8 a creare questo nesso: "umiliò se stesso" richiama alla memoria l’invito all’ "umiltà di sentimenti" del v.3, mentre "diventò obbediente" riecheggia il "foste sempre obbedienti" del v. 12.
A) L’umiliazione.
v. 6. L’interesse dell’inno non è rivolto o incentrato su una definizione dell’essere di Cristo nel mondo di Dio, ma sugli eventi che hanno preso le mosse da quel punto. Il v. ci presenta i primi inizi di una riflessione sull’essere preesistente di Cristo: prima di esistere come uomo "esisteva di un’esistenza divina". Il Cristo celeste non credette di dover trattenere per sé la sua uguaglianza con Dio. Nella letteratura giudeo-ellenistica si parla ripetutamente con disprezzo di uomini che credono di essere simili a Dio: Filone definisce "amante di sé e ateo" chi pensa di essere simile a Dio (Leg. all. 1,49), Flavio Giuseppe vuole incutere spavento raccontando dell’uccisione di Gaio, il quale vaneggiava di essere un dio (Ant. 19,1 ss.). Se si confrontano questi giudizi impregnati di spirito biblico con Fil 2,6, si può pensare che "nell’uguaglianza con Dio" detta di Cristo, si voglia anche affermare che ciò gli appartiene e appartiene a lui solo di diritto. I Padri della Chiesa vedono qui espressa l’idea di una legittimità dell’essere simile a Dio.
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Nell’attribuzione del nome si esprime l’antichissima credenza per la quale il nome è qualcosa di reale, "una parte della natura della personalità nominata, partecipe delle sue proprietà ed energie"(Bauer). Nell’upèr (sopra) sottolineato due volte c’è però una componente spaziale. Secondo la presupposta immagine del mondo, Cristo viene innalzato alla più alta sommità del cielo. I "nomi"sotto di lui, ora sottomessi alla sua signoria, comprendono tutti gli altri esseri. La seconda parte di questo inno rassomiglia al rituale di intronizzazione di un sovrano; innalzamento e attribuzione del nome corrispondono qui agli atti di presentazione e proclamazione.
v. 10. Ciò che segue porta decisamente l’impronta di una citazione di Isaia: "Volgetevi a me e lasciatevi salvare, voi dai confini della terra! Io sono Dio e non c’è altri fuori di me. Ho giurato per me stesso, dalla mia bocca uscirà giustizia, le mie parole non torneranno indietro: davanti a me si piegherà ogni ginocchio, ed ogni lingua confesserà Dio e dirà: giustizia ed onore giungano a Lui, e siano perduti tutti coloro che se ne separano. Dal Signore è proclamata giusta e in Dio è glorificata tutta la generazione dei figli d’Israele" (Is 45,22-25 LXX). In Isaia questo testo è riferito a Jahvè giudice.
Il nuovo orientamento di Fil 2,10-11 consiste anzitutto nel fatto che ora tutto è radicalmente riferito a Cristo: tutte le ginocchia si piegheranno "nel nome di Gesù". È vero che quanto avviene è essenzialmente legato a Dio, il quale presenta il nuovo Signore, ma l’intenzione del testo è che il mondo si piega di fronte all’eletto. "Nel nome" va inteso in senso stretto. L’espressione equivale a "invocando, nominando il nome di Gesù". Il nome di Gesù in questo punto dell’inno può servire soltanto a sottolineare la realtà umana di colui che è stato innalzato.
"I celesti, i terrestri e i subterreni" sono le potenze spirituali, sia quelle al servizio di Dio che quelle nemiche di Dio. La demonologia e l’angelologia giudaica sottolineò sempre la suprema sovranità di Dio su tutte le potenze create, mentre quella pagana parlò anche di potenze del destino, che dominano il cosmo e i suoi ordini. L’autore dell’inno pensa a queste potenze del destino, nemiche di Dio. La lettera di Ignazio ai Tralliani 9,1 conferma questa lettura: "Egli realmente fu crocifisso e morì alla presenza delle potenze del cielo, della terra e degli inferi". L’omaggio delle potenze è quindi qualificato come sottomissione, e l’inizio della sovranità del nuovo Signore come cambio di dominio. Al posto delle potenze che tengono schiavo il mondo è subentrato un nuovo dominatore del cosmo: quelli che finora hanno dominato si devono piegare davanti a colui che ha spezzato la loro signoria.
v. 11. Il gesto dell’inginocchiarsi e il riconoscere Gesù Cristo come legittimo Signore, formano insieme l’acclamazione di riconoscimento, il terzo atto dopo la presentazione e la proclamazione. Gesù Cristo non viene presentato come Signore della comunità cristiana, ma come Signore dell’universo; infatti solo la signoria sull’universo corrisponde all’onore prestatogli dalle potenze cosmiche del cielo, della terra e degli inferi.
Il nome del Signore, collegato alla citazione dell’AT, va equiparato al nome di Jahvè nell’AT: Gesù Cristo è il Signore Dio Jahvè. Il Gesù Cristo innalzato possiede qualcosa in più rispetto alla sua preesistenza. Questo "più" non si nota però visibilmente ed immediatamente perché la sua manifestazione avviene soltanto nell’ambito delle potenze, non pubblicamente nel mondo, restando così ancora fondamentalmente latente per il mondo degli uomini. La Signoria di Cristo è colta soltanto nella comunità cristiana, che canta appunto questo inno, e sa che tutto si è già compiuto in Cristo. Essa però attende nella fede che la Signoria del Kyrios si manifesti pubblicamente al mondo. La seconda parte dell’inno attribuisce ad un altro quel nome di Kyrios che prima era indiscusso monopolio di Dio Padre.