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Questa vuole essere una riflessione sulle accuse che si fanno alla Chiesa cattolica di aver perso lo spirito evangelico e che quindi sembrerebbe un “covo di peccatori”.

È vero, che le parole di Giustino, di Adenagora, di Teofilio, e di molti altri i quali invocavano una risposta da parte dei credenti ad una vita piena di virtù, e questo sarebbe stato l'aspetto più auspicabile.

Bisogna però essere realisti e demitizzare anche questo aspetto, è di moda ad esempio, indubbiamente in tutti i tempi, ma particolarmente oggi, esaltare il genere di vita della comunità primitiva, considerandola quasi una realizzazione perfetta dell’evangelo, per contrapporla alle situazioni di “peccati” che si riscontrano nella Chiesa attuale da parte di alcuni ecclesiastici, ma, una lettura attenta degli Atti degli Apostoli, dell'epistolario Paolino e delle lettere cattoliche( queste sono lettere destinate non ad una chiesa o comunità, bensì a tutte le chiese, cioè universale) è già sufficiente per ridimensionare questa contrapposizione, per far comprendere che le accuse formulate contro la Chiesa non hanno nessun fondamento.

I cristiani dell'epoca apostolica erano peccatori ne più ne meno di quanto lo possiamo essere noi di oggi, coloro che accusano la Chiesa Cattolica di aver perduto l'essenza del messaggio evangelico hanno un'idea alquanto imperfetta, distorta, e non conoscitiva delle leggi storiche.

Tuttavia, neppure il riconsolidarsi in modo progressivo delle comunità cristiane portò ad un miglioramento decisivo della situazione, l'uomo è peccatore è peccatore rimane.
La questione dell'uomo peccatore emerge nella sua comprensione profonda nel momento in cui il cristianesimo divenne la religione dell'impero, essa si diffuse ancora più largamente, e masse intere entrarono a far parte della Chiesa, con una conversione spesso molto superficiale.

Contro i peccati, e al fine di correggere i peccatori, la Chiesa comunque intervenne praticamente sin dagli inizi, mediante forme di esclusione dalla comunione e di disciplina penitenziale, delle quali si vuole trovare già il primo germe in primo Corinzi 5,1-5.
La diffusione universale che nell'epoca sub- apostolica e poi nei secoli successivi ebbe la prassi di escludere dalla comunione ecclesiale e più particolarmente dalla “comunione eucaristica”, i responsabili di peccati gravi, e la loro sottomissione alla disciplina penitenziale, è una controprova della serietà del problema della presenza del peccato nelle prime comunità cristiane.

Se talvolta vi furono nei confronti dei responsabili di alcuni peccati considerati particolarmente gravi degli atteggiamenti troppo rigorosi, essi dovettero comunque venire ben presto abbandonati, allorché, come accadde nella persecuzione di Decio del 250 d.C. un gran numero di battezzati rinnegano la propria fede, e la riammissione dei “Libellatici” e dei “Lapsi” si rivelò necessaria, se non si voleva evitare che intere comunità cristiane fossero completamente cancellate (in modo particolare la questione dei Lapsi).

Bisogna altresì comprendere che la nuova condizione dei cristiano il quale è salvato in Cristo, non toglie che anche per lui permanga la natura umana con tutta la sua debolezza e fragilità.
Tale fragilità, tali debolezze, insita nella natura umana è ben evidente nelle prime comunità cristiane, perché tale fragilità, tale debolezza, tale inclinazione al male, è presente nell'uomo fin dal suo apparire sulla terra.
Si potrebbe dire di non trovare capitolo negli atti degli apostoli che non manifesti la presenza assieme a molte virtù anche di profonde imperfezioni umane, ad esempio, dispute tra giudeo cristiani e cristiani ellenisti, episodi di Anania e Saffira o di Simon Mago, disputa, e anche in modo molto accesa tra Paolo e Barnaba causata dalla questione di Marco, episodi di codardia, l'apostolo Pietro che rinnega il Cristo davanti agli uomini per tre volte, sete di potere, due apostoli vorrebbero la preminenza sugli altri, si pensi alla situazione della comunità di Corinto, il quale si praticava l'incesto, si pensi ai peccati di divisione, io appartengo a Cefa, io appartengo a Paolo, io appartengo a Barnaba, io appartengo Cristo, il rimprovero di Paolo a Pietro davanti a tutti, leggiamo dunque gli interventi dell'apostolo Paolo al fine di evitare queste scissioni di appartenenza, riflettiamo ciò che dice Cristo nell'apocalisse in merito alla condotta delle “sette chiese”.

Ciò non deve affatto scandalizzarci, ma deve aiutarci piuttosto a comprendere e a sopportare meglio senza puerili intransigenze le imperfezioni e i peccati che ancora oggi inevitabilmente esistono nella Chiesa e fra i cristiani.

Vi sono molti documenti che attestano questo, ad esempio la Didaché, le lettere di Clemente, lettere di Ignazio e molte altre, basti ricordare ad esempio il pastore Erma, con la descrizione piena di naturalezza della vita della comunità cristiana contemporanea, contenuta proprio in questo scritto. Tale lettera ci dice che, “vi si incontrano cristiani di ogni sorta, buoni e cattivi, vi troviamo vescovi, preti e diaconi che hanno degnamente adempiuto il loro ufficio, davanti a Dio, ma anche preti trascinati in giudizio per il loro orgoglio, la negligenza e l'ambizione, e diaconi che si sono appropriati del denaro destinato alle vedove e agli orfani, e ancora martiri, il cui coraggio non ha ceduto un istante, ma anche, apostati, traditori e delatori, cristiani che hanno apostatato per semplici interessi terreni e di altri che non sono neppure arrossiti maledicendo il proposito di Dio e dei propri fratelli”.

Ci sono convertiti la cui anima non porta la macchia di un solo peccato, ma anche ogni sorta di peccatori, cristiani benestanti che disprezzano i propri fratelli più poveri, e altri invece buoni e caritatevoli, ci sono eretici, esitanti che cercano la via della giustizia, buoni cristiani colpevoli di difetti minimi, e simulatori ed ipocriti.

Questo non è il modus vivendi dei cristiani di oggi, dei cristiani cattolici ma è di coloro che appartennero alle prime comunità cristiane.

Allora si comprende bene che finché questo mondo esiste, nell'uomo albergano il bene e il male, la bontà e la malizia, l'umiltà e l'orgoglio, dobbiamo prenderne atto e non pretendere dagli altri ciò che noi stessi non siamo capaci di fare, ma, rimettendoci alla misericordia di Dio il quale perdona in grande misura le debolezze e peccati che la nostra natura umana ci induce a compiere.

Tommaso de Torquemada
[Modificato da Tommaso de Torquemada 15/03/2014 17:02]



SALUS ANIMARUM SUPREMA LEX